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Kurdistan – Hasankeyf | Diga sul Tigri ha sommerso città di 12mila anni

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Hasankeyf, Anatolia sudorientale, era uno dei più antichi insediamenti umani abitati consecutivamente, immutata almeno dai tempi della Via della Seta. Un anno per riempire il bacino lacustre artificiale: solo alcuni dei monumenti sono stati salvati e ricollocati nella nuova città a monte. Quasi 80 mila abitanti costretti a traslocare da progetto fortemente voluto dal “Sultano”

di ARTURO COCCHI

The Unesco Site that never was“. Il sito Unesco che non c’è mai stato (e non ci sarà mai). Così titola ‘Sapiens, magazine digitale di antropologia, raccontando il destino di Hasankeyf. Antica di 12 mila anni, durante i quali non ha mai smesso di essere abitata,  la città turca, situata nel sud-est dell’Anatolia, giace da qualche settimana sui fondali di un lago artificiale. Merito della definitiva attivazione di una diga che sbarra le acque del Tigri, opera fortemente voluta da Recep Tayyip Erdogan e altrettanto strenuamente osteggiata dalla popolazione – curda – dell’area, sfrattata alla fine da una terra dove i suoi antenati si erano installati sin dalla preistoria.

Sommate un paio di curose coincidenze – quella che bacino artificiale generato dalla diga Ilisu, attivata la scorsa estate, ha raggiunto il suo riempimento ottimale circa un mese fa, esattamente quando il presidente turco annunciava il ritorno a moschea di Santa Sofia e la prevalente componente curda dei quasi 80 mila sfrattati dal sito le cui prime tracce umane risalgono al 10mila a. C. – ecco che la recente strategia di Erdogan, quella di far leva sulle frange nazionaliste del Paese, in generale e ancor più quando la popolarità vacilla, si staglia netta sull’orizzonte delle acque del neonato bacino lacustre. Al di là delle possibili ragioni a monte, la crescente necessità di risorse idriche, di energia elettrica, la volontà di fertilizzare il deserto, che hanno gettato le basi dell’opera sin dagli anni Cinquanta del Novecento.

 

Oggi, circa 160 km del fiume Tigri e un complesso di 315 chilometri quadrati di territorio sono completamente sommersi dalle acque. Assieme a questi, un’importante reminescenza della storia umana è estinta e non basteranno certo gli eventuali e sporadici prosciugamenti del bacino a riportarla in vita. Abitata come detto continuativamente sin dal Neolitco, il che la rendeva uno degli insediamenti umani più antichi del pianeta e tra i pochissimi a non essere mai stati abbandonati sin dall’arrivo dei primi “colonizzatori”,  Hasankeyf presentava un insieme di caratteristiche che la rendevano unica. Chi l’ha visitata, ancora negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, descrive uno scenario affascinante di moschee e templi appollaiati su spuntoni rocciosi a sovrastare il Tigri. Attorno ai promontori, bucherellati a nido d’ape da grotte ancora abitate, giardini con alberi di fico e di melograne e vigneti. Girovagando ci si imbatteva ora in un’antica fortezza che aveva segnato i confini dell’Impero Romano, ora in un ponte medievale, il tutto a ribadire l’infinita e initerrotta vicenda storica e umana di quel luogo.

Baciata dalla fortuna di una posizione che per millenni si è rivelata strategica. Hasankeyf prosperò fanche per tutta la lunga epopea della Via della Seta, durante la quale fu l’ultima roccaforte della dinastia degli Ayyubidi, i discententi di Saladino. Il declino che seguì, dall’inizio del Settecento, è l’ennesima ragione che porta(va) archeologi e antropologi ad apprezzarla ulteriormente. Estranea alla civilizzazione degli ultimi tre secoli, l’antica città sul Tigri è rimasta identica a se stessa, abitata dai lontani discendenti dei padri fondatori. Come se a Petra vivessero ancora i Nabatei. Il tutto, in grandissima parte inesplorato e poco studiato.

Oggi, a parte la moschea di Er-Rizk, rimossa l’anno scorso e ricollocata più in alto, nella nuova città voluta dal governo centrale, dove le reliquie del glorioso passato che Ankara ha voluto salvare giacciono quasi accatastate le une sulle altre, poco o nulla si può ammirare dell’antica città. Qua e là affiora qualche rovina, ma l’effetto è quello di un parco divertimenti, con i turisti (per ora locali, data l’era covid) a immortalarsi nei consueti selfie, complice la campagna di promozione del governo centrale che spinge questa nuova attrazione lacustre. Non fosse per il diverso look dei turisti, sembra uno degli immensi reservoir creati in Arizona o in Colorado, dove si praticano sport acquatici e pesca. Con la differenza che là non sono state sommerse antiche metropoli.

La volontà di creare una diga in quell’area del bacino del Tigri, la provincia di Batman (no, non è un refuso) precede di gran lunga l’insediamento di Erdogan, ma il Sultano ci ha poi messo del suo. Il tutto è parte di un progetto globale di irrigazione del Sud-est dell’Anatolia, pensato già dagli anni Cinquanta, ma messo in pratica a partire dagli anni Ottanta. Per quanto riguarda la diga Ilisu e la conseguente triste fine di Hasankeyf, a nulla sono valse le resistenze a livello internazionale e interno, sia dei movimenti ecologisti, che di quelli conservazionisti, men che meno di quelli umanitari che vedevano e vedono in quella rivoluzione idrogeografica la volontà di cancellazione dell’identità e della storia del popolo curdo. Nei primi Duemila, una conservazionista locale, Zeynep Ahunbay ha portato avanti una battaglia decennale per salvare l’antica città. Fallito l’iniziale tentativo di portare la questione alla Corte di giustizia europea, il movimento è comunque riuscito a indurre molti stati occidentale a negare alla Turchia fondi e prestiti necessari alla realizzazione del progetto.

Tutto vano. Alla fine, Erdogan ha trovato i finanziamenti in patria. Espropriare la popolazione non è stato troppo difficile: in un’area non certo benestante, la promessa di danaro – abbinata alla garanzia di una nuova casa nella nascente “nuova Hasankeyf” a monte, è stata sufficiente a dividere una popolazione inizialmente ostile al progetto. Alla fine, anche i meno arrendevoli si sono trovati costretti a traslocare e a ricostruirsi una dimora. Le cifre ufficiali parlano di circa 15 mila espropri, quelle della comunità curda dicono 78 mila. “Hanno alterato il processo naturale del fiume, hanno speso un mare di soldi – è in sintesi il pensiero degli oppositori – Ma l’energia idroelettrica è soltanto un pretesto”.