di Antonello Guerrera
“Donne ucraine, non siete sole. Conosco bene le vostre sofferenze. Non vi dimenticheremo. E continuerò a lottare per voi, dopo le terribili violenze che avete subito”, promette Nadia Murad in questa intervista esclusiva a Repubblica. “Ma affinché ciò non accada mai più, dovremo cambiare anche noi e la nostra società patriarcale. E lo stupro deve essere considerato un crimine contro l’umanità”. Nadia Murad, 29 anni, yazida irachena, autrice di L’Ultima Ragazza (Mondadori), nel 2018 ha vinto il premio Nobel per la Pace, insieme al ginecologo congolese Denis Mukwege, per il suo impegno contro la violenza sessuale come arma in guerra e nei conflitti. Una piaga ancora oggi profondissima, come dimostrano gli orrori cui sono state sottoposte molte ucraine dai soldati russi nella brutale invasione ordinata da Vladimir Putin.
Oltre a essere una delle più celebri attiviste per le donne nel mondo, anche Murad è stata vittima di ripetuti stupri a Mosul, in Iraq, da parte dell’Isis nel 2014. Quando i miliziani del Califfato rapirono, torturarono e violentarono per mesi lei e altre 6700 donne della minoranza yazida. Oggi, Nadia combatte affinché ciò non accada mai più, ha lanciato anni fa la sua associazione umanitaria “Nadia’s Initiative” e, in questi giorni, con il Foreign Office di Londra, il “Murad Code”: ovvero un nuovo codice umanitario in difesa delle donne.
Nadia Murad, cosa prova di fronte a quanto stiamo assistendo in Ucraina?
“È orrendo, ma purtroppo nulla di nuovo. Nei conflitti di tutto il mondo, donne e ragazze sono vittime di violenza sessuale, come lo siamo state noi yazide. Come l’Isis, i soldati russi sanno che le donne sono una componente cruciale del tessuto di ogni comunità. Ecco perché lo stupro è un’arma di guerra e di genocidio: per distruggere le comunità dall’interno. Così, le donne subiscono i peggiori orrori e violazioni dei diritti umani”.
Cosa possiamo fare affinché ciò non accada più nel mondo?
“Innanzitutto, processando gli aguzzini. Ciò è vitale per le sopravvissute, cui bisogna garantire tutto il sostegno per ricostruire le proprie vite, ma anche per le potenziali future vittime, in quanto la deterrenza è prevenzione. Allo stesso tempo, bisogna sradicare le radici alla base della violenza sessuale e di genere nelle nostre scuole, in casa, al lavoro. Bisogna smantellare la mascolinità tossica e la femminilità tossica. Dobbiamo insegnare ai ragazzi che le ragazze hanno i loro stessi diritti, tra cui quelli di imporsi e di essere ascoltate. Perché la violenza sessuale è radicata nella disuguaglianza di genere”.
Oggi quanto è difficile avere giustizia per le vittime di violenza sessuale in guerra?
“Viviamo in un mondo patriarcale in cui gran parte delle leggi – nazionali e internazionali – sono state scritte da uomini. Di conseguenza, riflettono i pregiudizi maschilisti nei confronti delle donne. Per questo motivo, la violenza sessuale è stata riconosciuta solo di recente come crimine di guerra, mentre fino a poco tempo fa spesso non costituiva neanche un crimine ordinario, ma solo vergogna e umiliazione per le donne. Non possiamo più perdere tempo: la violenza sessuale deve essere perseguita come un crimine contro l’umanità. Fino ad allora, gli stupri continueranno a essere impuniti”.
Cosa vuole dire oggi alle donne di vittime di violenza sessuale in guerra?
“Che non sono sole. Che ciò che hanno subito non è un danno collaterale della guerra, ma una gravissima violazione dei diritti umani. E che io lotterò per sempre per loro, finché avranno giustizia”.
Qual è l’obiettivo del Codice Murad?
“È stato ideato dall’Institute for International Criminal Investigations, dalla Nadia’s Initiative e dal governo britannico, perché le sopravvissute a questi crimini spesso provano altro dolore durante le indagini e i processi contro i loro aguzzini. È accaduto anche a me: spesso gli inquirenti ignorano quanto sia difficile ricordare e rivivere quelle violenze per noi donne. Dunque, il “Murad Code” ha l’intento di proteggere le vittime e la loro fragilità”.
Qual è lo stato dei diritti delle donne nel mondo?
“Finalmente, negli ultimi anni questo è diventato un tema affrontato seriamente, ma non in tutti i Paesi della Terra. Le donne non saranno mai protette fino a quando non avranno gli stessi diritti e opportunità degli uomini, per la legge e nella società”.
Otto anni dopo gli stupri di massa e il genocidio dell’Isis nei confronti degli Yazidi in Iraq, come vive oggi la sua comunità?
“Le conseguenze sono ancora pesantissime. Ancora oggi, 200 mila Yazidi sono sfollati in campi di accoglienza dove si registrano alti tassi di suicidio, violenza sessuale e spose bambine. A molti dei 150 mila Yazidi riusciti a tornare nella loro terra, nell’iracheno Sinjar, manca ancora accesso ad acqua pulita, sanità e istruzione. 2800 donne yazide sono tuttora scomparse o prigioniere. Con la mia associazione Nadia’s Initiative l’impegno è massimo per rigenerare un ambiente sano per la comunità yazida. Ma la strada è ancora lunga, e da soli non ce la facciamo”.