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Panorama Kurdistan

Geografia

Kurdistan ricopre una vasta area di circa 500000 km², che tocca quattro stati: Turchia, Siria, Iran e Iraq. A cavallo tra due imponenti catene montuose, il Taurus ad ovest e i monti Zagros, nome utilizzato per identificare tale zona, dai geografi, specialisti e nazionalisti kurdi. A tutt’oggi, il nome Kurdistan, non compare nelle carte ufficiali. L’origine dell’attuale denominazione si fa risalire al 1157, quando l’ultimo grande selgiuchide, Singiar (m.1157), denominò il territorio a nord-ovest di Hamadan Kurdistan, ovvero “Paese dei Kurdi”.KURDISTAN Questo denota la rilevanza storica della regione, in cui gli stessi Kurdi si sono insediati ormai da secoli e dove hanno impiantato le loro radici sociali e culturali.

Al suo interno il territorio presenta un’elevata percentuale di zone montuose, con numerosi altopiani, dove sovente i pastori nomadi conducono le greggi a pascolare. Nelle sue terre nascono i principali corsi d’acqua del Medio Oriente ed inoltre vi è dovizia di sorgenti e falde acquifere, dovute principalmente alle cospicue precipitazioni piovose. Il clima si presenta molto rigido in inverno, soprattutto nelle zone montuose, innevate sei mesi l’anno. In estate le temperature tendono ad aumentare notevolmente, provocando, con un tempo caldo secco, aridità del clima e siccità. Dal punto di vista delle risorse naturali, il Kurdistan, si presenta favorevole ed estremamente produttivo. I numerosi fiumi, attraverso imponenti dighe, consentono lo sfruttamento dell’energia idroelettrica e lo sviluppo dell’allevamento ittico. Il sottosuolo è ricco di giacimenti minerari: carbone, ferro, rame, piombo, argento etc. Tuttavia la risorsa più rilevante e più sfruttata, non solo sotto l’aspetto quantitativo, ma soprattutto sotto quello economico, è il petrolio, presente nei pressi di Kirkuk , Mossul e Sulaimani (Kurdistan iracheno), al centro di diverse controversie, come in seguito documenteremo.

L’economia è prevalentemente agro-pastorale, essendo proprio l’allevamento e l’agricoltura le fonti di sostentamento della popolazione. La diffusione dell’agricoltura soverchia, in qualche modo, l’iconografia classica, che lega la figura del pastore nomade al popolo kurdo, di cui la maggioranza è oggi sedentarizzata (87% del totale). Le colture praticate sono di tipo prevalentemente cerealicolo, vale a dire grano, orzo e lenticchie. Nelle zone montuose, oltre ai cereali, si coltivano prodotti come il tabacco e il cotone, destinati a divenire merce di scambio nei mercati urbani.

Diversi studi antropologici, linguistici ed etno-culturali hanno preso in esame l’origine del popolo kurdo, analizzando e documentando la specificità di questa popolazione. Sebbene definiti “au carrefour de populations aussi differentes” , nei kurdi si possono rilevare degli aspetti peculiari che li distinguono nettamente dalle altre genti dell’area medio orientale. Numerosi studiosi hanno cercato, in questo senso, sottolinearne caratteristiche antropologiche che avrebbero permesso questa differenziazione, come dimostrano le diverse ricerche antropologiche sui kurdi effettuate già alla fine dell’Ottocento. Questi ed altri studi hanno portato alla definizione di due tipologie di soggetti: kurdi occidentali e kurdi orientali e meridionali. Questa classificazione delinea due differenti tipi di individui, con proprie e precise caratteristiche antropologiche e somatiche, ma come afferma Bois: “ Malgré tout, ces recherches anthropologiques sur les Kurdes sont trop fragmentaires et incertaines pour que l’on puisse en conclure quoi que ce soit sur l’origine de ce peuple. Il est indispensable d’y joindre l’étude de la langue et aussi celle de l’histoire.”

Le tesi proposte per rispondere all’interrogativo sulle radici di questo popolo sono essenzialmente due. La prima, sulla quale concordano la maggior degli esperti, fa risalire la loro origine alle tribù indoeuropee provenienti, in ondate successive, dalle zone caucasiche e che si spinsero fino all’alta Mesopotamia, sugli altopiani anatolici ed iraniani. I Medi in quanto appartenenti al ceppo delle tribù indoeuropee, sarebbero, secondo questa ipotesi, i loro diretti progenitori. Gli stessi Medi s’insediarono, in maniera stabile, nell’attuale Kurdistan, allorquando sconfissero, nel 612 a.C., a Ninive, i loro oppressori, gli Assiri. Provenienti dalle zone attorno al lago Urmia, si stabilirono tra i monti dell’Anti-Tauro e della catena montuosa Zagros, fondando il loro impero, che ebbe come capitale Ecbatana (l’odierna Hamadan in Iran). La seconda tesi avalla l’ipotesi, meno accreditata, di una origine autoctona dei kurdi. Alcuni studiosi ritengono che le regioni montuose dell’Asia Minore siano la culla del popolo kurdo, che entrando in contatto, in tempi diversi, con le civiltà che si sono succedute, abbia subito mutamenti di carattere antropologico. Tale processo di assimilazione e di integrazione, stando a queste ricerche, si sarebbe completato non più tardi del primo millennio a.C..

Lingua e Religione 

Quando si parla di popolo, non si può prescindere dall’occuparsi di un fattore essenziale che ne determina l’esistenza: la lingua. Nel nostro caso assume una rilevanza ancora maggiore, come, infatti, sottolinea la Galletti “[…] la lingua è il fattore base che unisce i curdi, ne contraddistingue la specificità, e qualifica il carattere di nazione del popolo curdo.” L’idioma kurdo ha radici profonde, corroborate da una fiorente letteratura, sia scritta che orale. Alcuni linguisti ritengono che essa appartenga al gruppo delle lingue indoeuropee del ramo ariano e al gruppo nordoccidentale della famiglia delle lingue iraniche. Il primo ad occuparsi della lingua kurda, con meticolosa e pervicace cura, fu il domenicano italiano Maurizio Garzoni. Infatti nel 1787 pubblicò a Roma la “ Grammatica e vocabolario della lingua kurda”, che dimostra e riconosce l’originalità di tale lingua.

Attualmente la lingua kurda moderna si compone e suddivide in numerosi dialetti, che differiscono tra loro in modo direttamente proporzionale alla distanza geografica. Nell’insieme si possono individuare tre parlate principali: il kurmanji, parlato nel Kurdistan settentrionale ed occidentale (Turchia, Siria, Russia). Le opere principali sono: oltre la produzione del primo poeta kurdo Eli Heriri (1425-1495), lo Sharaf-nameh (o Storia della nazione kurda), scritta in persiano dal principe di Bitlis, Sharaf Khan nel 1596, che considerata una delle fonti di primaria importanza per conoscere la storia dei kurdi; il ciclo epico Mam u Zin di Ehmed Khani (1651-1707); il materiale religioso della setta Ahl-i Haqq. Cfr. IZADY, op. cit., p. 373 e GALLETTI, op. cit., pp. 41-42. Inoltre la tradizione orale è testimoniata da numerosissime poesie solo recentemente edite, cfr. L. SCHRADER, Canti d’amore e libertà del popolo curdo, Roma, che in passato ha dato vita ad una lingua letteraria; il sorani parlato nel Kurdistan centrale ed orientale (Iraq, Iran) che diventò dominante dopo la prima guerra mondiale. Il terzo gruppo è rappresentato da diversi dialetti concentrati nel Kurdistan meridionale.

Il ruolo della religione nella società kurda è stato di primaria importanza divenendo, sia in un remoto che recente passato, il centro catalizzatore delle vicende kurde. Prima dell’avvento dell’Islam (637), nelle zone occupate dell’attuale Kurdistan era radicato lo Zoroastrismo. Questo culto resistette fino alla fine della dinastia sasanide (224-652). Attualmente la religione più diffusa è l’Islam di fede sunnita, che viene praticato dal 98% della popolazione, mentre il restante 2% e suddiviso fra altri culti: lo Yazidismo, la setta degli Shabak, esigue minoranze di cristiani soprattutto assiri, caldei e armeni, e di ebrei. Poc’anzi abbiamo accennato al ruolo fondamentale giocato dalla religione nel condizionare ed influenzare la storia kurda, “questo è un punto cardine perché abbracciando la nuova fede che poneva l’ideale universale dell’Islam, i curdi sacrificarono l’opportunità di costruire il proprio stato nazionale”. Il fattore religioso ha inciso negli equilibri politici tanto che è stato utilizzato dai sultani ottomani come mezzo di persuasione e di consenso per accattivarsi i favori dei kurdi in imprese belliche che richiedevano il loro sostegno. Inoltre la stessa religione è stata parte integrante della struttura sociale, dove le personalità religiose, oltreché guide spirituali della comunità, assumevano connotazioni di carattere politico.

Un forte ascendente sul popolo lo ebbero gli shaikh, le guide spirituali delle confraternite religiose di natura misticheggiante (tariqa), che sorsero in Kurdistan intorno al IX sec. d.C.. Queste figure nel secolo scorso travalicarono l’aspetto religioso per caratterizzarsi come veri e propri leader politici. Gli shaikh si contrapposero, quali difensori dei valori tradizionali della società kurda, a tentativi d’intaccare l’autonomia kurda da parte della politica accentratrice ottomana. Spesso il loro dissenso dette vita a ribellioni ad ampia partecipazione popolare delle quali gli stessi shaikh si misero a capo. Successivamente ci occuperemo con più attenzione di queste vicende, ma questi brevi accenni ci fanno comprendere come nello studiare la storia kurda non si possa prescindere dalla componente religiosa.

Le origini 

Arroccati sulle loro alture, che costituiranno solide ed inespugnabili roccaforti, i curdi hanno rappresentato per secoli un indomito modello di fiera e orgogliosa indipendenza, conservata e mantenuta con lutti e patimenti. Con l’avvento dell’Islam diventano più dettagliate le informazioni sulla loro storia pervenuteci tramite diversi storici arabi. Proprio gli arabi musulmani furono tra i primi a sperimentare il loro bellicoso temperamento; incontrarono infatti innumerevoli difficoltà nell’islamizzazione del Kurdistan, fra l’altro per le forti resistenze opposte all’accettazione di una nuova fede. La conquista araba, avvenuta nel 637, non poté dissolvere la tradizionale struttura sociale tipicamente tribale, ormai stratificata, fatta di legami di sangue e dove la gerarchia era sancita dal consenso e favore popolare. Questa sarà la base su cui poggeranno il loro potere le successive dinastie curde, indipendenti dal califfo, che realizzeranno veri e propri regni autonomi.   Diversi saranno i mezzi utilizzati dal califfo per dominare le popolazioni curde, si andrà dalle feroci repressioni alla politica matrimoniale. Nel 685 viene nominato un governatore col compito di sottomettere i curdi alle autorità musulmane, sottolineando, quindi, gli enormi sforzi compiuti dagli arabi per “domare” questo popolo. L’affievolirsi del potere dei califfi diede l’opportunità ai Signori dei curdi di estendere il proprio potere politico sì che alla fine del X sec. si conteranno quattro grandi principati: Shaddadidi (951-1088), Hasanwayhidi (941-1014), Marwanidi (990-1096), Banu Annaz (990-1096)  . Alcuni raggiunsero notevole splendore e magnificenza, segno di una ragguardevole prosperità. Tuttavia questo periodo di sviluppo e progresso non durò a lungo, poiché più volte fu interrotto dalle continue invasioni provenienti dall’Oriente. I Selgiuchidi (nomadi turchi guidati dal condottiero Oghuz)  dilagarono in Medio Oriente, impossessandosi di Baghdad e riducendo il califfato abbaside alla stregua di un vassallo. La mancata affermazione della supremazia di una delle dinastie curde non ha consentito l’edificazione di uno stato che racchiudesse in sé l’intero territorio curdo, tale da poter essere un valido ostacolo alle orde che provenivano dalle steppe asiatiche e che ripetutamente ponevano la popolazione locale nel servaggio più totale. I turchi non incontrarono insormontabili difficoltà, sopraffacendo gradualmente i principati curdi. Si deve comunque all’ultimo sultano selgiuchide Singiar (1157) il nome Kurdistan, dato alla provincia che ricopriva la vasta area comprendente la catena montuosa dello Zagros, con capitale Bahár. Il dominio selgiuchide comporterà per la fiorente civiltà curda un periodo di stagnazione e regresso. A riportarla ai fasti di un tempo fu la figura leggendaria di Salah al-din (1137-1193) che condusse la lotta contro “l’infedele”, riconquistando Gerusalemme, riunificando sotto l’egida dell’Islam sunnita un vasto impero che si estendeva dall’Egitto alla Mesopotamia . Le sue origini curde – era figlio del capo Ayyub (da cui prenderà il nome la futura dinastia fondata dallo stesso Saladino) della tribù curda Rawadi – non lo spinsero a promuovere l’istituzione di un’entità nazionale curda, in quanto la sua azione era diretta alla salvaguardia ed al primato della fede islamica, nella quale predomina il concetto di un’unica comunità politica-religiosa, la umma o comunità dei credenti. Il fattore religioso rimarrà una costante nel condizionare, spesso negativamente, la storia curda. I curdi ebbero, in ogni caso, un ruolo di primo piano, distinguendosi nell’amministrazione civile e militare ayyubita, rivestendo importanti incarichi e fornendo validi contingenti all’esercito. Una nuova e più violenta invasione s’abbatté sul Kurdistan e su tutti i territori islamici. I guerrieri mongoli devastarono, con inusitata ferocia, i principati curdi e nel 1258 posero fine al decadente califfato abbaside. La conversione del khan mongolo all’Islam comportò un inasprimento della lotta per la supremazia nel Medio Oriente all’interno del mondo islamico, con conseguenze nefaste su tutta la popolazione che dovette patire ingenti sacrifici. Tra il XIV e il XV sec. il Kurdistan si stava riorganizzando, dando vita anche a una pregevole attività culturale favorita nelle corti soprattutto di Bitlis, Hakkari e Botan, quando su di esso si abbatterono le distruttive invasioni di Timur Lang (Tamerlano) e dei Turcomanni. Nonostante tutto, dopo pochi decenni, i principati turchi riemersero alla ribalta politica . A partire dal XVI sec. la regione assunse una posizione strategica nella contesa che vedeva contrapposti l’impero persiano dei Safawidi e gli Ottomani, che nel XIV sec. avevano ampliato notevolmente il loro dominio che irradiava dalle terre dell’Asia Minore. Situazione fondamentale per le successive vicende curde, alle quali saranno legati l’evolversi ed il sorgere di una coscienza nazionale curda. Lo scontro risolutore tra i due imperi avvenne nel 1514 nella battaglia di Cialdiran, rivelatasi fatale per l’esercito dello scià Ismail Safawide. Decisivo risultò l’apporto alla causa ottomana fornito dai curdi che si schierarono per la maggior parte con il sultano sia per la comune fede, entrambi erano sunniti, sia per ragioni d’opportunità politica. La seconda motivazione sembra opinione diffusa tra gli studiosi, in quanto i Signori dei curdi speravano che all’interno dell’impero ottomano fosse loro garantita una più ampia autonomia. In effetti, lo stesso sultano, temendo di vanificare la vittoria conseguita, decise, seguendo il consiglio dall’abile ministro Hakim Idris di Bitlis, di adottare per il Kurdistan una struttura di tipo feudale che poteva assicurargli maggiore tranquillità per i suoi confini. Il piano ideato da Idris consentiva il controllo di zone ritenute strategiche per rafforzare le frontiere dell’Impero, rendendole più sicure da eventuali offensive della Persia. Questo “statuto” diede modo al Kurdistan di godere di un lungo periodo di pace che si protrasse, con alterne vicende, per quasi tre secoli. Il sultano riconobbe cinque “Imarat” o principati curdi indipendenti: Bitlis, Hakkari (Giulamerg), Bahdlnan (Amidya), Bohtan (Giazirah) e Hish-Kelf, ma effettivamente erano 17 principati o più propriamente “beg” (feudi) che possedevano una larga autonomia. I “feudatari” curdi, sebbene fossero legati da vincoli di fedeltà al sultano, e sul loro territorio vi fossero stanziate guarnigioni militari, esercitarono un potere pressoché incondizionato: battevano moneta, pronunciavano la Khutba, ed avevano ai loro ordini veri e propri eserciti, a dimostrazione di un’indipendenza, manifestata sotto ogni aspetto. Quando le autorità “centrali” tentavano d’intaccare i loro privilegi, i principi instillavano il dissenso nella popolazione locale facendo scaturire virulente ribellioni. Successivamente i sultani cercarono, allo scopo di ridurre il potere e l’influenza dei principi curdi, impiantare il germe della discordia fra i diversi clan, sempre divisi da lotte intestine, esacerbando e fomentando le rivalità tribali. Ma nel XVII sec. l’interesse verso la regione del Kurdistan da parte ottomana andava scemando, poiché l’attenzione del sultano si era rivolta ai turbolenti domini europei. Le frizioni tra i due Imperi (ottomano e persiano) erano comunque frequenti finché non si giunse, per dirimere la delicata questione, al Trattato di pace del 1639 che consacrò la prima spartizione del Kurdistan in due grandi zone d’influenza, delimitando fortemente le prerogative dei principi curdi. Per anni nei principati fiorirono pregevoli espressioni culturali, a testimonianza di un fervore intellettuale crescente che nella seconda metà del XVII sec. avrebbe iniziato a destare il sopito sentimento nazionale curdo. Fu all’interno di una ristretta cerchia di letterati (scrittori, poeti) e intellettuali, portatori di un messaggio d’emancipazione politica, che prese voce l’insofferenza verso il sempre più pressante giogo straniero, e dove pungenti critiche furono rivolte nei confronti degli stessi principi curdi, rei di non avere mai cercato una collaborazione unitaria che potesse creare i presupposti per un stato kurdo. _______________________________________________________________________________  


Nel Kurdistan vengono fatte rientrare 18 province (vilâyet) della Turchia (Adiyaman, Ajri, Bingöl, Bitlis, Diyarbakir, Elazij, Erzincan, Erzurum, Gaziantep, Hakkari, Kars, Malatya, Mardin, Mus, Siirt, Tunceli, Urfa e Van), quattro province (ostân) dell’Iran (Azerbaigian occidentale, Kermanshah, Ilam, Kurdistan), quattro province (muhafadhat) dell’Iraq (Erbil, Sulaimaniyya, Dehok, Kirkuk); mentre in Siria vengono considerati curdi il Kurd Dagh a nordovest di Aleppo, la regione di Jerablus e Kobani a nordest di Aleppo e la parte settentrionale della muhafadha di al-Hasakah; infine rientravano nel Kurdistan ex sovietico parte della Georgia, dell’Armenia orientale e dell’Azerbaigian settentrionale
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